(Vom) Dopo l'assaggio concessoci mesi fa, i Diluvio pubblicano “Senzaombrello”, tredici schegge che, correndo forsennatamente, tengono fede alla prima impressione positiva. Sberle a destra e a manca; sotto i loro colpi cade la società dei consumi così come la tanto sbandierata scena: “mille stronzate in rete e non hai ancora detto niente”.
Davanti a dischi del genere è doveroso parlare di due differenti piani di lettura. Da una parte quello che necessariamente entra in collisione con le orecchie ed i muscoli dell’ascoltatore, la musica e l’impatto che ne consegue, la potenza dell’insieme o l’abilità compositiva, la sintonia d’intenti che traspare dai testi. Dall’altra l’humus dal quale questa orchestrazione sonora fiorisce, l’intenzionale presa di posizione etica e politica in senso lato. I modi, il vocabolario, i costrutti scelti in funzione di un’idea, costruttiva o distruttiva essa sia. Questo è da sempre il plus valore che fa sì che anche opere non strettamente memorabili assumano, grazie al loro complesso sistema di significati, un peso che è d’obbligo caricarsi sulle spalle. Tocca a noi dare supporto, prenderci carico di un messaggio ai più scomodo, che nella fattispecie utilizza l’hardcore cupo e rancoroso come veicolo. Da questo punto di vista l’album dei Diluvio ha un peso specifico a cui molte formazioni hc/punk nostrane dovrebbero tendere, lontano dagli slogan di certa destra, certa sinistra, certo centro, certo anarchismo, certo qualunquismo. La bandiera issata è quella del riscatto attraverso l’insofferenza e l’odio, parola che perfettamente pone il sigillo in chiusura.
Se cercate semplice musica che vi rimanga impressa sconvolgendovi la vita, questo scroscio di tupatupa non fa per voi. Se invece desiderate un monolite che assorba la luce senza rifletterla e che faccia da colonna sonora al vostro malcontento, allora non attendete oltre e scucite gli euro.
In fondo, come i Colle Der Fomento, i Diluvio “flippano solo hardcore”.
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