lunedì 28 dicembre 2009
I Selvaggi - Urlano la nuova musica - CDr (Autoprodotto)
(Vom) Pur non chiamandosi Jaguars o tantomeno Vigliacchi, I Selvaggi, con la loro sguaiata spensieratezza, possono indurre alla danza molti impenitenti beat punkers. Gran dosi di uooooo e dooo-papppààà vanno a braccetto con testi sciocchini, in linea con la tradizione no fun dei nostri sixties. Seppur la batteria sia scarna e non incisiva – ma immagino che mi si dirà che la cosa sia garagiosamente voluta – i cinque brani si lasciano ascoltare con piacere, anche da me che non sono nel mood giusto per apprezzare cotanta leggerezza.
Complesso brioso, come si sarebbe detto 40 anni fa. Consigliati per addii al celibato, nubilato e feste di laurea.
Contatti:
http://www.myspace.com/iselvaggi
Il delitto di via S. Poma!
Il senso spiegatevelo voi. Io già lo so.
Web 2.0. Carta che canta stonata. Professione: lurker.
Ormai ingabbiate le buzzanchiane tigri, io bloggo tu blogghi egli blogga. Ai nastri di partenza smaniosi di mp3/promo/divx/pdf.
Il desiderio di capire è sorpassato. Andare oltre “chi me lo fa fare”. Basta copiare per primi. Raffazzonare è un’arte. Abortire gli ascolti. Visionare a metà. Skippa tu, che skippo anch’io.
Gli amici di Sara Poma.
Uppa, puppa!
A cosa serve scrivere? A cosa serve leggere? Cui prodest, se i maya già hanno spoilerato la Grande Fine?
Vivete la mediocrità. Relax, when you want to come.
lunedì 30 novembre 2009
J. Tex - Misery - CD (Heptown Records)
(Vom) Louisiana e Mississippi come se piovesse, anche se le precipitazioni accostate a quel fiume rievocano tristi fantasmi. A dispetto del nome, del gracchiante blues e dei riferimenti americani al 100%, J. Tex non è altri che Jens, danese titolare dell’etichetta Heptown. Dopo due album in cui si è fatto accompagnare dai The Volunteers, questo è il suo primo sforzo solista e, a differenza di una miriade di negroes-wannabes, il caro Tex dimostra di adorare e conoscere a menadito la materia. Voce dimessa e chitarra spoglia ma calda come l’alito di un bufalo. “Misery” è una raccolta di canzoni sorprendentemente sincere, che in più frangenti suonano più attuali dei modelli di riferimento, come se Tom Waits di tanto in tanto facesse a gara di swing con Jay Abner. Nel delta di questo disco confluiscono vari rivoli, uno dei quali è quello che sgorga da sorgenti country-folk, con tanto di armonica e corde pizzicate con lodevole maestria. Dall’inizio alla fine un bella sorpresa, compresa la cover di "Ain't got no home" di Guthrie.
Contatti:
http://www.myspace.com/oldtimejunk
http://www.myspace.com/heptownrecords
Alfatec - Brainphobia - 7" (Matzugoru Recordz)
(Vom) La fiorentina Matzugoru Recordz ormai si è guadagnata una posizione di riguardo nel panorama hard punk, soprattutto grazie a succose uscite quali Carlos Dunga, L.E.A.R.N., Coloss, Taste The Floor ed ora questi Alfatec. In giro dal 2004 e mai nessuno che mi abbia detto “Oh, sfigato, ascoltati ‘sti Alfatec, invece di perdere tempo con la vagonata di merda che ti arriva da recensire!”. E allora daje con la prima traccia, che chiarisce subito il concetto, nel caso foste lenti di comprendonio. Hardcore che spazia dall’andante con brio al moderato e poi al veloce fortissimo. Sulla scia di alcuni loro colleghi d’etichetta si distinguono dal canonico accaccì grazie ad arroganti chitarre di pietra, memori di quel gruppo LA’ il cui cantante ha basette e baffi foltissimi e voce assai roca. Tommaso, the voice, sbraita come si deve la sua rabbia contro la montagna di immondizia che ci sovrasta, dando però spazio anche ad urla più personali, come quelle contenute in “Memorandum”, un pro memoria che incita alla coerenza. “Brainphobia” è nell’insieme un buon disco, anche se le singole canzoni non contengono stacchi, accordi o sequenze di parole che lascino a bocca aperta. Il consiglio che mi sento di dare è di abbandonare l’inglese, qui utilizzato in maniera eccessivamente amatoriale, con frasi che talvolta suonano ingenue, se non addirittura sbagliate grammaticalmente. Non è un caso che il meglio arrivi con la sesta traccia in italiano, “Bravo cittadino”, un bel grasso ‘fanculo all’amministrazione comunale di Firenze ed in particolare all’ex assessore alla sicurezza Graziano Cioni, l’anti-lavavetri inquisito per corruzione.
Fossi in voi comprerei il 7” e li andrei a vedere dal vivo. Da segnalare la poderosa cordata che ha permesso l’uscita del vinile: scoprite i nomi andando sul sito degli Alfatec. Daje!
Contatti:
http://www.myspace.com/alfatecWheelman On Bushpig - Nice Story e.p. - CD
(Vom) Dico sin da subito che la proposta di questo duo romano possiede indubbie qualità e offre all'ascoltatore interessanti soluzioni melodiche, ma letta con l'ottica critica di chi predilige una maggiore spericolatezza, i modelli di riferimento non vengono più di tanto stravolti in nome della ricerca. Sono gli stessi Wheelman On Bushpig a dichiarare amore per i primi anni novanta, quelli dell'industrial e del guitar rock da classifica, leggasi N.I.N. ed Alice In Chains, e risulta lampante sin dalla prima traccia, up-tempo e rumore che danno forma a "Smoky scream".
Il gelo della batteria, secca e puntuale, contrappuntata da percussioni elettroniche, ben si sposa con la sofferenza cantata, più Kurt che Layne. Con "At my grace" però incomincia il turno di notte. Dimessi e con piedi strascicati ci si lascia travolgere dall'alienante macchina a controllo numerico. Synth pop che ci accompagna verso l'inevitabile black hole sun. La calma inquieta dura giusto pochi minuti, il tempo necessario affinché il cyber radiofonico alzi di prepotenza il capo, accattivante nel suo dispensare ansie al metronomo. Lo sferragliare dei due brani in chiusura, canone pop-industrial al quale è difficile non pagare pegno, è frutto saporito ma tardivo, forse colpevole di non avere un distintivo gusto proprio; troppi incroci e troppo evidenti le orme dei padri.
La maggior forza dei Wheelman On Bushpig è nell'introspezione e nella chirurgica quiete della già citata "At my grace".
http://www.myspace.com/wheelmanonbushpig
mercoledì 4 novembre 2009
Newclear Waves / Opus Finis 7" split (Mannequin)
(Vom) Negli anfratti cupo-sperimentali, quelli in cui è sempre in auge la fascinazione per le raffigurazioni tardo medioevali o postnucleari così come per lo straight edge marziale delle grandi tirannie, il synth non manca mai di riscuotere successo. Onde sonore così quadrate da sembrare cubiche, voci stentoree, perlopiù filtrate e lasciate correre attraverso in microfono in maniera declamatoria, un annuncio funebre alla nazione che ondeggia sotto al palco. L’Europa, per motivi più che ovvi, negli anni 80 ha generato orde di post-punk cibernetici che si trastullavano con la morte e con i transistors. Come in ogni ambito c’è chi ha lasciato tracce meravigliose della sua esistenza come i tedeschi Der Plan, e chi ha seguito la new-onda. Ormai però l’onda rischia di apparire decrepita, anche a causa dell'invasione di formazioni che si limitano ad eseguire un compito pedissequo. Il progetto ro(bot)mano Newclear Waves non è certo sgradevole, ma nulla aggiunge e soprattutto nulla lascia, pur dopo ripetuti ascolti. Un po’ più dinamici invece gli americani Opus Finis, che hanno dalla loro un piglio più Suicide. Risparmiate i soldi per qualche uscita più succosa.
Contatti:
http://www.myspace.com/newclearwaves
http://www.myspace.com/opusfinis
martedì 3 novembre 2009
Diluvio - Senzaombrello - CD
(Vom) Dopo l'assaggio concessoci mesi fa, i Diluvio pubblicano “Senzaombrello”, tredici schegge che, correndo forsennatamente, tengono fede alla prima impressione positiva. Sberle a destra e a manca; sotto i loro colpi cade la società dei consumi così come la tanto sbandierata scena: “mille stronzate in rete e non hai ancora detto niente”.
Davanti a dischi del genere è doveroso parlare di due differenti piani di lettura. Da una parte quello che necessariamente entra in collisione con le orecchie ed i muscoli dell’ascoltatore, la musica e l’impatto che ne consegue, la potenza dell’insieme o l’abilità compositiva, la sintonia d’intenti che traspare dai testi. Dall’altra l’humus dal quale questa orchestrazione sonora fiorisce, l’intenzionale presa di posizione etica e politica in senso lato. I modi, il vocabolario, i costrutti scelti in funzione di un’idea, costruttiva o distruttiva essa sia. Questo è da sempre il plus valore che fa sì che anche opere non strettamente memorabili assumano, grazie al loro complesso sistema di significati, un peso che è d’obbligo caricarsi sulle spalle. Tocca a noi dare supporto, prenderci carico di un messaggio ai più scomodo, che nella fattispecie utilizza l’hardcore cupo e rancoroso come veicolo. Da questo punto di vista l’album dei Diluvio ha un peso specifico a cui molte formazioni hc/punk nostrane dovrebbero tendere, lontano dagli slogan di certa destra, certa sinistra, certo centro, certo anarchismo, certo qualunquismo. La bandiera issata è quella del riscatto attraverso l’insofferenza e l’odio, parola che perfettamente pone il sigillo in chiusura.
Se cercate semplice musica che vi rimanga impressa sconvolgendovi la vita, questo scroscio di tupatupa non fa per voi. Se invece desiderate un monolite che assorba la luce senza rifletterla e che faccia da colonna sonora al vostro malcontento, allora non attendete oltre e scucite gli euro.
In fondo, come i Colle Der Fomento, i Diluvio “flippano solo hardcore”.