In occasione dell'imminenente tour italiano di Pink Reason riesumo la mia intervista pubblicata su Bam! Magazine #7 ormai 3 anni fa!
Le date sono:
1.09 Torino @ Cripta 747 + Colorful Mountain
2.09 Bologna @ Elastico
3.09 Prepotto (UD) @ Hybrida space c/o agriturismo Planina
4.09 San Martino Spino (MO) @ A Minor Place festival + Mirrorism, Three Lakes, ...
Confrontarsi con se stesso è spesso operazione tragica. Lo specchio ti fissa e riflette gli anni di schifo che non ti sei lasciato alle spalle. Hai vissuto preadolescente per le strade della Siberia, in balia dell’inconcepibile, inciampando di tanto in tanto in un coma. Ti sei rialzato per poi ricadere, fino ad oggi.
Estirpare i propri incubi per nutrirsene è proprio la materia con cui l’opera di Pink Reason si è plasmata. Il dolore vivo cuce le sue tremolanti canzoni, in perenne bilico sui baratri delle trame di chitarra e la voce strozzata che l’accompagna. La discografia di Kevin Debroux è nomade nella forma. Quando, dopo l’ascolto dello sconcertante album “Cleaning The Mirror”, si crede di averlo inquadrato come folk singer, si è costretti a correggere il tiro una volta acquistato il 45 giri “Borrowed Time”, dove il suo malessere ha la voce rumorosa del post-punk più crudele. We’re living in a borrowed time, e le prime pagine dei giornali gli danno quotidianamente ragione. Nel 2006 il suo esordio autoprodotto venne notato dal boss della Criminal IQ che decise di ristamparlo, rivestendolo con una cover art esplicita, cazzuto simbolo solare di un’epoca di merda. L’iniziale “Throw It Away”, in poco più di 4 minuti, mette in guardia l’ascoltatore disattento. Non c’è più nulla da ridere. I sorrisi si ripongono nei cassetti non appena la puntina di diamante tocca un vinile di Pink Reason. Ultima sua fatica - arrivata dopo cinque 7”, un album e un CD-r uscito appositamente per un tour - è uno splendido split 12” assieme a Hue Blanc’s Joyless Ones. Gli uni eseguono due brani dell’altro e viceversa, forgiando un rumore sonico mai come ora vicino alla schiettezza rock’n’roll. Pink Reason è il nostro ciclotimico malumore.
Leggendo la tua biografia non ho potuto fare a meno di chiedermi quale sia stato il momento cruciale, l’attimo in cui hai deciso di provare a fare musica. Emotivamente è cambiato qualcosa nel corso degli anni nel tuo modo di approcciarti alla composizione oppure l’entusiasmo è rimasto immutato?
Ho tenuto il mio primo show a 12 anni. Cantavo in una band chiamata Anastasia (Anesthesia) in Kurgan, Siberia. Era da circa due anni che cercavo di fare musica ma solo attorno ai 12 anni ho iniziato ad imparare a suonare la chitarra, quando i miei compari di gruppo cominciarono ad insegnarmi i pezzi degli Grazhdanskaya Oborona. A 13 anni incominciai a registrare delle canzoni punk in maniera casalinga, utilizzando qualsiasi cosa come strumento. Costruii una batteria utilizzando la spazzatura. A 16 entrai in “vere” bands e spesi i successivi 4 o 5 anni cercando di sforzarmi di essere collaborativo, suonando perlopiù il basso e la chitarra, ma a volte anche cantando. A 20 anni, mentre suonavo in una band noise psichedelica chiamata Somnambulist, ripresi a registrare roba per conto mio, con l’intenzione di mettere in piedi un progetto solista. Essenzialmente Pink Reason è nato così. Ho impiegato un po’ di tempo prima di registrare le cose che poi sono state pubblicate. Anche Pink Reason ha attraversato varie fasi. Il mio entusiasmo nel comporre musica è molto oscillante, ma non mi fermo mai perché non è una scelta, per me: è semplicemente qualcosa che devo fare!
Mi ha molto colpito una tua affermazione secondo la quale dici che in qualche modo ti affascina l’idea alchemica di riuscire a trasformare la merda in oro. “Cleaning the mirror” e i 7” da te registrati sono opere grezze, spesso “ingenue”, motivo per il quale me ne sono immediatamente innamorato. Come ti vedi tra qualche anno? Credi che un giorno avrai voglia di affidare il tuo talento a strumenti non sgangherati?
E’ impossibile per me dirti quale sarà il futuro di Pink Reason, ma, tenendo conto che non ho ancora guadagnato nulla con la mia musica, è decisamente improbabile che possa virare verso soluzioni “professionali”. Non posseggo nemmeno una chitarra funzionante. Tutto l’equipaggiamento di cui faccio uso l’ho preso in prestito da amici, rubato o tirato fuori da qualche bidone della spazzatura. Non ho mai guadagnato abbastanza soldi per potermi comprare una chitarra o un ampli. Alla fine ciò che prendo in prestito o trovo qua e là finisce per spaccarsi, ma non ho i soldi per farlo aggiustare. L’interesse nei miei confronti ha subito un grande incremento negli ultimi due anni ma sono ancora squattrinato. Anzi, sono addirittura più al verde che in passato, perché suonare in una band rende molto difficile trovare un lavoro e sono arrivato ad un punto della mia vita in cui non voglio giocarmi tutto quello che sono riuscito ad ottenere, tornando a spacciare droga.
Gli anni che hai passato in Russia, da come ne scrivi, ad un lettore estraneo ai fatti appaiono quasi affascinanti come un romanzo, nonostante la loro asprezza. Provi mai nostalgia per alcune situazioni anche estreme in cui ti sei imbattuto?
Ovvio. Il tempo che ho trascorso in Russia ha lasciato un’immensa impronta nella mia vita. Mi ha formato come persona. Ritornando negli States mi sono trovato ad essere un totale outsider, e, nonostante questa sensazione d’alienazione si sia affievolita negli anni, non riuscirò mai a riassimilare appieno questa cultura, a causa delle esperienze vissute in Russia. Credo che la maggior parte della gente non potrebbe mai credere a molte cose che ho visto e passato da quelle parti, e anche chi crede ai miei racconti probabilmente ha difficoltà a capire come ciò mi abbia condizionato e quanto sia stato importante per me. Ho amici che sono emigrati dalla Russia e, quando ci ritroviamo a bere qualche birra assieme, le lacrime cominciano a scendere piuttosto presto non appena accenniamo alle nostre vite ed vicissitudini in quell’immensa nazione. Nonostante questa nostalgia, non penso che la soluzione sia ritornare là. Siamo costretti a portarci dietro quel tempo e quel luogo, ma non possiamo tornare indietro perché quel tempo e quel luogo non esistono più.
Risale al “soggiorno” in Russia la tua passione per Ygor Letov? Puoi spiegare ai lettori di Bam! chi era?
Mi hanno fatto conoscere Egor Letov quando stavo in Russia. Per le strade di Kurgan comprai un album dei Grazhdanskaya Oborona ed incontrai altri ragazzi che amavano la sua musica e anche quella degli Yanka Dyaglineva. Letov era un musicista, un dissidente, e molto altro ancora. Per molti di noi era una figura d’una statura mitologica. Filosofo ed eroe. Sciamano e poeta. Tramite internet i lettori di Bam! potranno trovare informazioni più obiettive delle mie su di lui. Sfortunatamente mi riesce molto difficile parlarne da quando è morto. In questo istante vorrei dire altro su di lui, ma non riesco a trovare le parole.
Contrariamente a vari gruppi che passano dalla distorsione all’acustico, tu sei partito con “ballate” scheletriche e cimiteriali e sei arrivato ad un 7” al 100% post punk, saturo di rumore, “Borrowed Time”. Le anime di Pink Reason paiono essere innumerevoli, anche a giudicare da alcune cover che esegui dal vivo. Hai idea di che impronta avrà il prossimo tuo lp?
Sono ormai a metà strada nella registrazione del mio prossimo album, e credo sorprenderà molti ascoltatori. Non saprei quale accoglienza potrà avere. Credo che in un certo modo il materiale del nuovo album sarà più accessibile rispetto al passato, nonostante alcune cose siano più sperimentali dei miei precedenti lavori.
Ormai un anno fa avevo sentito dire che avresti accantonato il progetto Pink Reason per dedicarti ai sublimi Psychedelic Horseshit, con i quali però non suoni più da tempo. Cosa è accaduto?
Nessuna tragedia o robe del genere. Quei ragazzi sono tuttora alcuni dei miei migliori amici al mondo. Penso che si sentissero a disagio ad avermi come bassista dal momento che desideravano che componessi più musica sotto il moniker Pink Reason. Non ho deciso io di lasciare la band, ma alla fine ho capito e mi sono trovato d’accordo con la loro decisione.
Siccome non suono più con loro non ho altra scelta che continuare a lavorare come Pink Reason. Sono contento di essere tornato (anche se non me ne ero mai andato). E’ molto frustrante essere l’unico membro di un gruppo. Hai tutte le responsabilità sulle spalle.
Immagino. Quali sono i pro e i contro di essere una one man band?
Una cosa positiva è che posso spostarmi e fare tour quando mi pare e piace, senza dovermi mettere d’accordo con nessun altro. Non sono legato a nessuno. Ci sono però anche molti aspetti negativi. Se voglio andare in tour sono l’unica persona finanziariamente responsabile della faccenda. Le band possono dividersi i costi del noleggio di un furgone o della stampa dei loro dischi, mentre io devo pagarmi tutto da solo. Essere l’unico membro della band mi dà molta libertà, ma a che prezzo!
Tra i tantissimi collaboratori che hanno suonato con te dal vivo, chi è il personaggio più assurdo con cui ti sia capitato di lavorare?
Probabilmente Ryan Jewell. Per quanto mi ricordi è l’unica persona non fumatrice e che non usa droghe con cui abbia mai suonato. Forse anche l’unico vegetariano. Però è un pazzo totale e lo dico con affetto. E’ di gran lunga il migliore batterista che abbia mai incontrato o che mi sia capitato di vedere live. I suoi assoli sono indescrivibili. L’ho visto suonare dei raggi di una bicicletta con un arco! Fa dei tour con dei vecchi musicisti free jazz e suona anche in un gruppo twee pop. Non smette mai di suonare, tanto che rimanere in macchina con lui per una settimana di fila finisce per risultare un tantino provante, ma nutro solo amore e rispetto per quell’uomo.
Immagino che, oltre ai brani che hai già pubblicato, tu abbia una marea di canzoni nel tuo repertorio. Quali sono le occasioni che stimolano maggiormente la tua creatività? Utilizzi la musica per esorcizzare i momenti di merda in cui a volte ti trovi a vivere oppure è un flusso continuo che non dipende necessariamente dal tuo umore?
Sono molto più creativo quando ho a che fare con situazioni dolorose. Non ne conosco il motivo, e a volte vorrei non fosse così, ma è raro che scriva canzoni quando non sono depresso. Suppongo che comporre sia per me catartico.
Sulla board di Terminal Boredom, molti mesi fa, ho letto la diatriba con il ragazzo dell’italiana Disordered Records. Mi puoi spiegare cosa è successo? Da quel che mi risulta doveva pubblicare uno split tra te e Blank Dogs…
In verità sarebbe dovuto essere uno split tra Psychedelic Horseshit e Blank Dogs. Non ho mai incontrato Rocco di persona, ma è stato veramente difficile averci a che fare. Accettammo di partecipare allo split e lui cominciò immediatamente a chiederci le registrazioni. Ci ripeteva all’infinito di dargli le nostre “migliori” canzoni e ci diceva quali erano quelle che gli piacevano dei nostri lavori precedenti, così avremmo potuto dargliene alcune a quel livello. Entrambe le bands più volte hanno tentato di spiegargli che ci sarebbe voluto un po’ di tempo per registrare i brani e che ci stavamo lavorando il più velocemente possibile. Era continuamente on-line e molto semplicemente ci infastidiva in continuazione. Aveva anche strane idee sulle dimensioni della stampa. Ad un certo punto ci disse che il disco era sold out prima ancora che gli inviassimo le canzoni! Inoltre diceva ad entrambe le band che l’altra gli aveva già mandato i pezzi. Forse non aveva capito che noi siamo amici, parliamo spesso tra noi e sapevamo che nessuno aveva spedito alcuna canzone. Alla fine, dopo un po’ di tempo, ci disse di “andare vaffanculo” perché ci stavamo mettendo troppo, dopodiché andò sul forum di Terminal Boredom a dire che non gli piaceva la nostra musica, quindi gli dovetti dare una strigliata. Magari aveva buone intenzioni e magari è una gran persona (Anche no! Nda), non lo conosco personalmente, ma ha dato l’impressione di essere un immenso coglione e consiglio a chiunque di evitarlo, anche perché è interessato solo a stampe a tiratura limitata. La mia impressione è che la sua etichetta sia una sorta di progetto vanesio che utilizza solo per assurgere a chissà quale status (Kevin ci ha visto giusto. La Disordered comunque è fortunatamente defunta mesi orsono. Nda)
Ho letto di quando sei caduto in “coma” per due giorni a causa di un’overdose. All’epoca eri molto giovane, mi pare. Ti è capitato altre volte? Quell’esperienza ha dato come frutto “solo” lo scritto che ho trovato su internet oppure ci sono riferimenti anche in qualche tua canzone?
Avevo 12 anni ed è stata la prima, e sfortunatamente non ultima, volta. Ho avuto alcune near death experiences come risultato di incaute sperimentazioni con la droga. L’ultima volta mi è capitato circa 3 anni fa, ma sono certo che non succederà più, poiché ora conduco una vita molto differente. La canzone “Storming Heaven” su “Cleaning the Mirror” non parla di un’esperienza in particolare, ma riguarda proprio questa tematica.
Dal Wisconsin ti sei trasferito a Brooklyn. Per te è qualcosa di naturale il “nomadismo”? Te lo chiedo perché qui in Italia solitamente i giovani ed i meno giovani, e mi ci metto dentro anche io, sono molto più restii ad abbandonare la famiglia ed andare all’avventura.
Ho abbandonato i miei genitori per la prima volta all’età di 12 anni, quando vivevo in Russia. Da allora sono sempre stato in fuga. Non ho mai smesso di muovermi. Per me è una cosa naturale ed insostituibile, poiché ho passato più tempo spostandomi qua e là che stando fermo in un posto.
Come andò il tour europeo che hai fatto con gli Psychedelic Horseshit?
Quel tour europeo è stato probabilmente il periodo più bello della mia vita. Era tutto quello che speravo, anzi addirittura di più. Vorrei tornare da quelle parti. Sembrava che dovessi venire assieme agli Sword Heaven in novembre, come Pink Reason, ma purtroppo non avevo i soldi per il biglietto aereo. Se qualche promoter europeo vuole aiutarmi, ne sarei contentissimo e la prossima volta mi piacerebbe passare anche in Italia, e in un sacco di altri posti. Speriamo in un futuro non troppo lontano.
“I lived nervous between skin... always waiting, hoping, and praying for those pretty pink reasons...” Il nome Pink Reason ha a che fare con questi versi che scrivesti anni fa?
Wow, hai fatto davvero una ricerca da certosino! Non sapevo neanche che quella poesia fosse on-line. La scrissi tanti anni fa. Il nome Pink Reason è aperto a varie interpretazioni… preferirei rimanere vago.
Se avessi i soldi pubblicherei senza dubbio più dischi da solo. Mi piacerebbe molto. Vorrei fare uscire un 7” del mio amico Dennis Klapperich. Ha suonato la chitarra con Pink Reason per un intero tour e gli chiesi di unirsi a me proprio perché sono un fan delle sue registrazioni da solista. E’ di Algosa, WI, la stessa città di Hue Blanc's Joyless Ones. Penso che la sua musica abbia molto in comune con quella di Pink Reason e Hue Blanc, ma si distingue per merito della sua voce unica. Sarebbe bello pubblicare un disco anche ad altri artisti del Wisconsin, tipo Jaguar, The Sleds e mio cugino Jack Dillhunt. Li trovo tutti quanti molto illuminanti e non sarebbe sbagliato dire che hanno influenzato la mia musica. Ancora nessuno di loro ha fatto uscire un vinile. Mi piacerebbe porvi rimedio.
Qui dall’Italia la percezione del tuo lavoro e della tua “fama” è ovviamente distorta dalla lontananza geografica. Leggendo qua e là però mi pare di capire che attorno a te si è creato moltissimo interesse. Quanto ciò corrisponde al vero? Per te è diventato più semplice trovare locali in cui suonare? Solitamente che risposta hai dal pubblico che viene a vederti?
Ora, rispetto a tre anni fa, è decisamente molto più facile ottenere un ingaggio, ma sono ancora nella posizione di suonare in situazioni molto intime. Puoi ancora vedere Pink Reason in un sottoscala… Poco prima di lasciare Columbus ho fatto un concerto davanti a 4 persone, due delle quali lavoravano al bar e le altre due erano la band headliner. La reazione del pubblico non è sempre uguale, ma solitamente stanno fermi, osservano e poi applaudono quando finisce il pezzo. Capita che qualcuno venga a complimentarsi, ma non succede mai nulla di eclatante, cosa che invece mi faceva adorare fare concerti con gli Horseshit. Occasionalmente, dopo un set, incontro persone che si sono molto commosse e ciò mi lusinga; spesso le stesse persone finiscono per diventare mie amiche. E’ il miglior risultato possibile, conoscere qualcuno che è rimasto profondamente toccato dalla tua musica e che alla fine rimane in contatto con te. Per qualche strana ragione mi sono fatto alcuni amici a Miami, grazie alla mia musica. Ho suonato là solo una volta, ma c’è gente che regolarmente guida per ore per venirci a vedere quando suoniamo in altri posti in Florida. Commovente.
Sei solito registrare analogicamente o in digitale? Inoltre, pensi che i tuoi dischi siano un buon esempio di ciò che vuoi comunicare o senti che l’esperienza live si presti meglio per esternare il tuo estro?
Registro con qualsiasi cosa abbia a disposizione. Un quattro tracce, un otto tracce, un computer oppure tutte queste cose assieme. Non penso che un medium (live vs. registrazione) sia meglio dell’altro per quel che faccio. Sono semplicemente differenti. Ad ogni modo cambio molto i brani quando li suono dal vivo; il modo in cui li suono varia da concerto a concerto, ed è condizionato dai musicisti che di volta in volta mi accompagnano, la strumentazione ed anche l’umore.
Tu dici che “the devil always wins” ma credi che ci sia un modo per batterlo almeno una volta?
There are small victories, but in the end...